Qualche notizia sui “banchi” di San Sebastiano di Pisa nel medioevo

Nel medioevo un gran numero di imbarcazioni cariche di merci provenienti da porti e luoghi vicini o lontani arrivavano a Pisa navigando sull’Arno. Attraccavano a degli scali stabiliti dei quali i più frequentati, data la maggiore utenza e la logistica, dovevano essere quelli prossimi al centro storico e al ponte principale che univa le due parti della città.
Giungevano, a sinistra dell’Arno, presso una zona mercantile di una certa importanza, definita come appartenente alla “cappella” – la parrocchia nel medioevo – di San Sebastiano, chiesa che fu distrutta nella II guerra mondiale e mai ricostruita.
Almeno dal secolo XVI sia il luogo che l’edificio furono detti anche di “San Sebastiano in Banchi”, intendendo definire con tale aggiunta le ‘tavole’ schierate per la vendita al minuto o per altri affari. I banchi e il commercio connesso attraversarono i secoli e, a protezione dello spazio da loro occupato e ormai in rovina, nel 1605 fu edificata una loggia poi modificata e tuttora presente.

Di questo originale edificio vari studi analizzano la storia soprattutto dal seicento in poi – in ossequio ad un comandamento non scritto della ricerca sull’indagine da compiere in primis sui ‘monumenti’ in pietra –.
Pochi lavori invece hanno per oggetto i “banchi” e le botteghe dei mercanti un tempo qui presenti per la ragione (ovvia) che non sono più visibili e che i manoscritti che ne parlano sono sparsi negli archivi.
Gli spogli sistematici o occasionali però possono riservare qualche ‘sorpresa’, fatta ad esempio di nomi di persona e di mestieri.E subito, riguardo ai banchi della cappella di San Sebastiano nel medioevo, le carte attirano l’attenzione su una presenza costante e fondamentale nella zona: quella delle case e delle botteghe dei mercanti Gambacorti, signori della città nella seconda metà del trecento. Si trovano ricordate ad esempio la bottega, un tempo appartenuta a Sigerio di Marignano e ora di Andrea mercante che navigava anche per mare (1343, 1345, 1346), di Benedetto presso la piazza di San Sebastiano (1392) e dei suoi eredi (1396, 1397, 1401, 1403), degli eredi di Lorenzo (1403) e degli eredi di Tommasa (1413).
Altre informazioni, sempre ricavate dagli spogli, rammentano nella cappella il banco degli Scali, fallito nel 1326 (era nella bottega della casa del citato Andrea Gambacorti), il banco e la bottega di Giovanni di Tomeo Grassulini (1393), il banco e il fondaco di Piero di Bacciameo Maggiolini sotto la casa degli eredi di Lorenzo Gambacorta (1403), il banco “iuris” (della legge, 1427), la loggia dei catalani e dei fiorentini al tempo dell’istituzione della dogana (1428) e la bottega ovvero loggia delle monache di San Domenico, la quale rendeva di pigione al convento 18 fiorini l’anno (1428) ...

Notizie ancora più particolari sono in un atto del 1452 riguardante un’altra loggia e due banchi che circa settanta anni prima dovevano essere costruiti e messi su nella cappella di San Sebastiano.
Nel 1452 infatti i consoli del mare e i governatori di Pisa accolsero l’istanza di Iacopo di Simone Compagni e riconobbero una vendita fatta dagli Anziani il 20 agosto 1383 (pisano, cioè 1382), per 200 fiorini d’oro, al mercante Gherardo del fu ser Bartolomeo Compagni “cuius sunt due turres cum domo seu palatio in medio spati turrium constituto site secus Arnum cum suis confinibus et maxime unum caput in solo pisani comunis quod est platea vicina ecclesie sancti Sebastiani Kinzice …”
– “del quale sono due torri con una casa o palazzo costituito in mezzo delle torri poste lungo l'Arno con i loro confini e massimamente un capo nel terreno del comune di Pisa che è la piazza prossima alla chiesa di San Sebastiano di Chinzica”.

La vendita doveva effettuarsi secondo certe condizioni: “... q. in dicto solo sit spatium longitudinis palmorum viginti et latitudinis ipsarum turrium ac domus unius loggie hedifitium concludetur. In quo spatio soli idem Gherardus possit et sibi liceat facere fundari et construi loggiam unam in marellis seu colupnis contiguam ipsis turribus et domui et q. altitudo ipsius logge sit perticarum duarum computandarum a solo usque ad summitatem voltarum ipsius logge et in qua logg(i)a nulla quantitas occupetur nisi quantum erit latitudo tabule tunc ordinande utruque duorum banchorum fiendorum in apotecis duarum turrium et qui banchi non excedant muros ipsarum turrium. Et sit pro quolibus ipsorum longitudinis brachiorum trium cum dimidio et que tabule sit latitudinis brachi unius; que tabule facili modo possint sublevari et abbassari et abbassate ereat muro ipsius banci per modum q. clausis hostiis; et dicte tabule ipsarum turrium seu domus ubi banci tenebuntur nihil de ipsis bancis appareat nisi predicte tabule pendentes secus ipsos muros ... Il testo (da me) tradotto è:

“... e che in detto terreno sia uno spazio di venti palmi di lunghezza [circa m. 4,60] e la larghezza delle torri stesse, e racchiuda casa, una loggia ed edifici. Nel quale spazio lo stesso Gherardo potrà e gli sarà concesso di fondare e costruire una loggia in marelli [?] o colonne, contigua alle torri e alla casa stessa, e che l'altezza della loggia sia di due pertiche [circa m. 5,80], calcolata dal pavimento alla sommità delle volte della loggia, e la loggia non sarà occupata da alcuna quantità se non quella pari alla larghezza della tavola di entrambi i banchi da sistemare e da fare nelle botteghe delle torri, i quali banchi non eccedano i muri delle stesse torri. E per ciascuno di essi la lunghezza sia di tre braccia e mezzo [circa m. 2,03] e la tavola dovrebbe essere larga un braccio [m. 0,58]; e che la tavola possa essere sollevata e abbassata facilmente, e abbassata al muro a modo di ingressi chiusi; e di detta tavola delle torri o casa, dove si tengono i banchi, non appaia nulla fuorché la detta tavola pendente presso gli stessi muri ...”.

Paola Ircani Menichini, 8 febbraio 2024.
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